Pubblichiamo un documento del Consiglio nazionale della categoria contenente anche osservazioni critiche sulla proposta di legge delega Ermini
Cinque osservazioni critiche alla proposta di legge delega Ermini e altrettante proposte per una riforma giusta ed equilibrata. Il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Gerardo Longobardi, interviene con un dettagliato documento sul futuro deIla giustizia tributaria. “Il tema della Riforma della Giustizia tributaria – spiega – si è posto all’attenzione non solo del Governo (ricordo la proposta del Vice Ministro delle Finanze Casero di costituire una Commissione per elaborare in tempi brevi una riforma della giustizia tributaria), e del Parlamento (con la proposta di legge delega presentata l’8 aprile 2016 dall’On.le Ermini ed altri ed assegnata, in sede referente, alla II Commissione Giustizia della Camera dei Deputati – Atto n. 3734), ma di tutti gli operatori del settore (Amministrazione finanziaria, Professori universitari e Magistrati tributari)”. Al dibattito sulla materia partecipa da tempo attivamente il Consiglio nazionale dei commercialisti, che ha deciso ora di fissare, nero su bianco, sia le osservazioni critiche alla proposta di legge delega Ermini, sia le proposte della categoria. Ecco il documento:
Sulla proposta di legge delega Ermini
- Ad avviso del CNDCEC è assolutamente da scongiurare la “riconduzione” delle attuali Commissioni tributarie in seno alla Giustizia civile. La proposta di legge delega presenta evidenti profili di incostituzionalità, in ragione della soppressione della cd “quarta giurisdizione” del nostro ordinamento per legge ordinaria e non con legge costituzionale, nonché per la prevista abolizione del grado di appello a differenza di quello che avviene per tutte le altre cause civili.
- Non è condivisibile la previsione secondo la quale le sezioni specializzate di primo grado operino in composizione monocratica. E questo in ragione dell’elevata complessità delle controversie tributarie, spesso indipendenti dal loro valore, in cui devono trovare componimento competenze giuridiche e competenze economico-aziendalistiche. Non è inoltre condivisibile ridurre l’attuale secondo grado di giudizio in un reclamo innanzi alla stessa sezione del tribunale – questa volta in composizione collegiale – non solo per possibili profili di incostituzionalità, ma anche per la necessità di garantire un doppio grado del giudizio di merito.
- Non è condivisibile che per lo smaltimento del contenzioso tributario pendente dinanzi alla Corte di Cassazione, sia stata scelta la strada di nominare giudici ausiliari tra i magistrati ordinari in quiescenza. Tale soluzione sembra andare in controtendenza rispetto alla ratio ispiratrice della Riforma che è quella di assicurare il massimo della professionalità e dell’aggiornamento dei giudici.
- La proposta di legge delega è poi in controtendenza anche rispetto agli indirizzi di politica tributaria perseguiti negli ultimi due anni, che tendono a privilegiare un approccio non più repressivo, ma di tipo preventivo che privilegia la c.d. tax compliance e che inevitabilmente comporteranno, medio tempore, una riduzione dell’attuale mole del contenzioso tributario.
- La devoluzione delle controversie tributarie al Giudice ordinario trascura inoltre le peculiarità pubblicistiche della materia tributaria, assegnando un processo di impugnazione di atti, oggetto di una funzione amministrativa, ad un giudice abituato invece a risolvere contrasti tra parti private non dotate di poteri autoritativi.
Le proposte dei Commercialisti
- Ad avviso del CNDCEC va mantenuta ferma la natura speciale dell’attuale giurisdizione tributaria. Le Commissioni tributarie, infatti, al di là delle criticità che vivono e che vanno risolte, sono in grado di assicurare celerità e snellezza del giudizio difficilmente replicabili in seno alla giustizia civile. Inoltre l’inevitabile aggravio del contenzioso tributario sulla Giustizia ordinaria, già sull’orlo del collasso, porterebbe alla paralisi di quest’ultima.
- Il vero “collo di bottiglia” della Giustizia tributaria che allunga oltremodo i tempi per ottenere un giudicato definitivo si verifica nel terzo grado di giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione se si pensa che i giudizi ivi iscritti nel solo 2015 erano pari a 11.417 per un valore in contestazione di euro 7.698.901.910, arretrato che peraltro è andato incrementandosi costantemente negli ultimi anni (nel 2012, i giudizi iscritti erano 10.140 per un valore controverso di euro 5.012.705.265: dunque, quasi 1.300 pendenze in più in tre anni). Il maggior numero di procedimenti pendenti presso la Corte di cassazione si ha proprio presso la sezione tributaria: al 2015 erano ivi pendenti 34.209 giudizi, pari al 32,7% del totale con un indice di ricambio del 46%, cioè ogni 100 sopravvenuti in sezione ne sono stati definiti poco meno di 50. Rispetto al 2014, la sezioni tributaria ha incrementato la pendenza del 17,2% (+5.008 giudizi pendenti).
Non così nelle attuali Commissioni tributarie in cui i giudizi pendenti al 2015 sono risultati pari a 530.844 in diminuzione del 7,24% rispetto al 2014 (i pendenti erano 572.256) e del 15,94% rispetto al 2013 (i pendenti erano 631.474).
Nelle Commissioni tributarie si registra inoltre un’anzianità media dei giudizi definiti nel 2015 di 886 giorni in CTP e di 792 giorni in CTR, in costante diminuzione in questi ultimi anni specialmente in CTP in cui l’anzianità media dei definiti al 2013 era infatti pari a 1.085 giorni. Anzianità che dunque in due anni si è ridotta di quasi 200 giorni (199 per la precisione). - Quello che serve al Paese piuttosto, e sul quale occorre intervenire al più presto, è un sistema fiscale più chiaro, certo e coerente che garantisca:
- – maggiore certezza del diritto,
- – maggiore predeterminabilità dell’onere fiscale
- – e, per quello che qui interessa, maggiore prevedibilità delle sentenze.
Sono questi gli “ingredienti” necessari senza i quali nessuna riforma della Giustizia tributaria potrà mai dare gli effetti sperati.
E sulla prevedibilità delle sentenze è chiaro che un ruolo centrale non può che essere svolto dalla Suprema Corte con la sua funzione nomofilattica, che purtroppo in questi ultimi anni è andata sempre più affievolendosi, anche per effetto di un sistema fiscale impazzito e ingestibile: un ginepraio normativo.
Occorre rendere le attuali Commissioni tributarie sempre più indipendenti, assicurandone ancor meglio qualità, equidistanza dalle parti, con professionalizzazione dei componenti.
In particolare occorre introdurre un giudice a tempo pieno, professionale, che possa assicurare autonomia, terzietà e indipendenza della funzione giudicante, oltre che una maggiore sua produttività.
Giudice sì, dunque, professionale e a tempo pieno, ma Giudice pur sempre “speciale”, che mantenga inalterata la “pluralità” delle competenze proprie dei suoi componenti e l’autonomia dalle altre giurisdizioni.
I futuri organi giudicanti dovrebbero quindi essere composti da soggetti appartenenti al ruolo dei “Magistrati tributari”, selezionati con concorso pubblico che privilegi titoli di studio e di servizio nella materia tributaria, assicurando l’accesso al concorso anche ai laureati in economia, oltre che, ovviamente, ai laureati in giurisprudenza.
Magistrati che, una volta vinto il concorso, siano:
- – a tempo pieno
- – sempre più professionali e specializzati
- – sottoposti all’obbligo di formazione continua
In tale contesto, andrebbero in ogni caso preservate le professionalità oggi operanti nelle attuali Commissione tributarie da includere in un ruolo ad esaurimento.
5. Circa i soggetti abilitati all’assistenza in giudizio, si apprezza – questa volta – la scelta, contenuta nel progetto di legge di iniziativa parlamentare, di circoscrivere ad avvocati e commercialisti la difesa tecnica nel secondo grado di giudizio.
Scelta che va nella direzione di quella che il Governo ha tracciato nel decreto delegato di revisione del contenzioso, in cui è stato bocciata una proposta della Commissione Finanze del Senato di includere tra i soggetti abilitati alla difesa tecnica i tributaristi.
Per le medesime ragioni, abbiamo fortemente criticato l’inclusione invece tra i difensori dei dipendenti dei CAF, seppure limitatamente ai contenziosi originati da adempimenti predisposti dagli stessi CAF.